Al primo posto del calendario liturgico di Israele troviamo una solennità chiamata in ebraico PESAH, aramaico PASHÀ. Essa viene celebrata la notte dal 14° al 15° del mese di NISAN (nel calendario cananeo ABIB), corrispondenti ai nostri marzo – aprile, il primo mese secondo il computo primaverile dell’anno nuovo. L’etimologia del termine è controversa. Fuori dal contesto pasquale, la radice PSH appare in 1° Re 18:21; 2° Samuele 4:4; 1° Re 18:26; Isaia 31:5. In quest’ultimo verso il verbo significa evidentemente «passare oltre», «aver riguardo per», «saltare» nel senso di non includere qualcuno in una determinata lista o azione. Fino all’epoca di Giosia e della sua riforma la festa ebbe un carattere esclusivamente familiare, carattere che del resto non ha mai perduto, legato alla casa che veniva aspersa col sangue della vittima; e tale casa non si soleva abbandonare prima dell’alba (Esodo 12:22,33), per non cadere sotto la mano dell’angelo sterminatore il quale risparmiava le case segnate, ma naturalmente non gli individui, per i quali non era stato stabilito alcun segno. Nella mente di chi celebrava la pasqua nella propria casa con i propri parenti ed amici era presente anzitutto il concetto di salvezza, come appare chiaramente da Esodo 12. Durante la notte ivi descritta, quella dal 14° al 15° di NISAN, mentre i primogeniti venivano uccisi dall’angelo sterminatore, i nostri vennero risparmiati e noi tutti restammo in vita. Attraverso tale atto si costituì il popolo di Dio. Tale atto viene rievocato nel culto, vi viene attualizzato: la comunità celebrante diviene contemporanea con quella primordiale, trema insieme ad essa nella imminenza del pericolo e con essa sospira di sollievo e loda il proprio Signore non appena è passato. La comunità moderna dunque, soffre, prega, spera, ringrazia insieme all’antica attraverso quella misteriosa comunicazione che è insita nel culto ebraico. In Esodo 12:14, dove abbiamo il termine Zikkaron, radice ZKR che significa «attuazione, ricordare, commemorare». La liturgia della Pasqua, la Haggadah Sel Pesah il cui significato è: «tradizione pasquale», recita infatti testualmente: “Eravamo schiavi del Faraone di Egitto…, ma il Santo sia Egli benedetto, non si contentò di trarre dall’Egitto soltanto i nostri progenitori: ecco, noi, i nostri figli ed i nostri nipoti eravamo schiavi del Faraone in Egitto…”! (cfr Deutoronomio 6:21).

LE FONTI – La celebrazione della Pasqua è attestata dalle fonti più antiche (Esodo 12:23; 12:14-17; 34:21-23) appare ancora in Deutoronomio 16:1-8; Levitico 23:5-8; Numeri 28:16-25; 2° Re 23:21-23; un’attestazione storica l’abbiamo in Giosuè 5:10-12. Abbiamo ancora un’attestazione extrabiblica molto importante: il cosiddetto papiro «pasquale» di Elefantina, datato nel 419.

AMBIENTE E CELEBRAZIONE – L’ambiente è chiaramente quello del clan seminomade o famiglia in senso lato… La celebrazione della solennità avveniva secondo i testi nella seguente maniera: la notte di luna piena del mese di Nisan, cioè quella da 14° al 15° del mese, il gruppo familiare, che, ove risulti di dimensione ridotta può essere aumentato mediante la partecipazione dei vicini (v:4), che si riunisce nella propria casa. La Pasqua non richiedeva nessun sacerdote, nessun altare e il sangue della vittima vi aveva grande importanza…

L’OFFERTA – L’animale da offrire varia a seconda dei testi in Esodo 12:5 ha una capra o una pecora di un anno; in Deutoronomio 16:2 abbiamo invece animali di mandria, ma si tratta in questo secondo caso della celebrazione della festa nel tempio, non delle case private. Col sangue dell’animale venivano poi aspersi gli stipiti della porta esterna mediante un mazzetto di issopo (v.22), il segnale convenuto per tenere lontano lo sterminatore notturno. La carne dell’animale ucciso viene poi arrostita al fuoco ed il pasto accompagnato da erbe amare e pani azzimi (Esodo 12:8; 34:25); questi ultimi sono poi presenti per tutta la settimana seguente. È vietato, (Esodo 12:9) carne poco arrostita o bollita, o di conservare gli avanzi per il giorno seguente: essi dovranno essere bruciati. I partecipanti alla solennità prendono parte al convito in stato di allarme, per così dire: pronti a partire (Esodo 12:11) ed effettivamente sul far del giorno (Esodo 12:33 ss), partono in tutta fretta. Da tutti questi dati appare chiaramente il carattere originariamente familiare della celebrazione; così è restato del resto fino al giorno d’oggi, e non pubblico, che ne costituisce un secondo aspetto.

LA PRIMA PASQUA – un nuovo inizio – Quello che per l’Egitto sarebbe stato il mutamento di una serie di giudizi, per Israele sarebbe stato il momento culminante della liberazione e della redenzione. In perpetuo ricordo di questo fatto, Israele doveva fare di quel mese, Abid (chiamato più tardi Nisan) il primo mese dell’anno. E così fu sino alla morte di Salomone. Solo Giuda poi continuò allo stesso modo, perché secondo un attento confronto … in quel che è scritto nel libro dei Re, le dieci tribù settentrionali, staccatesi dal tempio, … avevano portato l’inizio del nuovo anno al primo giorno del settimo mese di TISHIRI.Questo mese sarà per voi il primo dei mesi dell’anno”. Qualcosa del tutto nuovo cominciava; per Dio, ciò che era passato non contava. L’anno civile continuerà a seguire il suo corso, ma un nuovo anno si apriva, contrassegnato da relazioni con Dio fondate su tutta un’altra base. Non è così, per noi, della conversione e della nuova nascita? Si può essere condotti al Signore a dodici, a venti, a sessant’anni, ma per Dio avranno un’importanza solo gli anni della nuova vita: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie son passate: ecco, son diventate nuove” (2° Corinzi 5:17).

LA PRIMA PASQUA e la fede (Esodo 12:3-13) – Prima di liberare Israele dall’Egitto, Dio lo liberò dal giudizio della decima piaga: la morte dei primogeniti. Con questa liberazione, la Pasqua del Signore (Esodo 12:11), Dio manifesta la Sua grazia provvedendo per Israele un mezzo di salvezza, un sacrificio, un sostituto. Un agnello avrebbe preso il posto dei primogeniti. Questo tipo di redenzione non era applicabile soltanto per grazia, ma anche per fede. Per fede ogni familiare doveva spruzzare col sangue gli stipiti e l’architrave della propria porta. Per fede dovevano mangiare il pasto pasquale con le vesti cinte come essendo pronti a partire, con i sandali ai piedi e i bastoni da viaggio in mano. Dovevano anche mangiare in fretta, nell’attesa di partire da un momento all’altro. Per undici volte Faraone si era rifiutato di lasciarli partire quindi dovevano agire in fede, credendo che questa volta erano davvero alla vigilia della tanto sospirata partenza, credendo anche che il sangue che avevano spruzzato le porte li avrebbe protetti dalla morte. Esso sarebbe stato considerato come un segno visibile della loro fede, e Dio avrebbe fatto in modo che la piaga passasse oltre le loro case. “Per fede Mosè celebra la Pasqua” (Ebrei 11:28) La loro fede doveva esprimersi con l’ubbidienza alle precise istruzioni divine.

LA PASQUA COME MEMORIALE. – La liberazione dall’Egitto è stata compiuta una volta e per sempre. La prima Pasqua che in Egitto si era celebrata non doveva essere mai più ripetuta, nel senso rituale almeno, mai più da allora il sangue sarebbe stato messo sulla porta; infatti l’Eterno aveva dichiarato: quel giorno sarà per voi un giorno di ricordanza… una festa in onore all’Eterno… una festa di istituzione perpetua (v.14). Da quel giorno e per gli anni a venire, com’è ripetuto più volte in Deutoronomio 16:1-8, la Pasqua avrebbe ricordato al popolo, che era «uscito» dall’Egitto. Di anno in anno si raduneranno attorno all’agnello arrostito che ricorderà loro il prezzo pagato per la loro liberazione.

LA PASQUA COME MEMORIALE NEL DESERTO – Nei Numeri 9:1-14 troviamo la Pasqua come memoriale nel deserto. Nel primo mese del primo anno (anno religioso) Israele lascia l’Egitto. L’anno seguente, il primo giorno del primo mese, Israele erige il tabernacolo nel deserto, seguito dalla dedicazione dell’altare per 12 giorni (Numeri 7). Erano state accese le lampade in questo santuario, e consacrati i Leviti. Per la prima volta dopo essere stati liberati dal giudizio di Dio, che era caduto su Faraone e sull’Egitto, il popolo celebra il memoriale della Pasqua attorno al Santuario. L’Ebreo che non era impuro, che non era in viaggio e non presentava l’offerta della Pasqua all’Eterno avrebbe portato il suo peccato. Non si prendeva la Pasqua per se stessi, ma per l’Eterno che l’aveva ordinata.

LA PASQUA COME MEMORIALE NEL PAESEDeutoronomio 16:1-8 ci dà le istruzioni per la Pasqua nel paese. In questo caso viene posta enfasi sul luogo dove l’Eterno avrà stabilito il ricordo del Suo Nome (vv.2,7). Questo era il solo luogo ove si poteva celebrare la Pasqua. Giosuè 5:10-12 ci presenta la Pasqua celebrata in Canaan dopo il passaggio del fiume Giordano. Questa Pasqua è accompagnata da un nutrimento nuovo: 1. – vecchio grano del paese 2. – pani azzimi 3. – grano arrostito. Nei secoli la Pasqua è stata celebrata tante volte, ma la scrittura ce ne riferisce solo sette occasioni, tra queste la Pasqua di Ezechia (2° Cronache 30) e la Pasqua di Giosia (2° Cronache 25); in quest’ultimo caso, la fede e l’energia di Giosia, proprio in occasione della Pasqua, portano il popolo ad un risveglio, al ritorno alla Parola e al desiderio di celebrare il memoriale.

LA PASQUA COME MEMORIALE IN OGNI LUOGO – Sarebbe venuto il giorno in cui il sacrificio di cui la Pasqua non era che l’ombra, doveva compiersi. Nella notte in cui il Signore fu tradito, udiamo la voce del Signor Gesù che parla al cuore dei Suoi discepoli: “Ho grandemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima ch’io soffra…”. Alla fine della cena, il Signore istituisce un altro memoriale: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo… questo è il mio sangue” per il cristiano, la Cena del Signore ha sostituito la Pasqua. Parlerà forse meno ai nostri cuori? Ce ne staremo lontani quando il Signore ripeterà: “Fate questo in memoria di Me” (Luca 22:15-20). Non vogliamo noi ripetere col profeta: “Al tuo nome, al tuo ricordo anela l’anima nostra” (Isaia 26:8). Oggi, a tutti noi che partecipiamo al memoriale della morte del nostro Signore in qualità di padri di famiglia, potrebbe esserci rivolta la domanda dei nostri figli: “Che significa per voi questo rito?” (Esodo 12:26). Certamente con emozione e con affetto non ci lasceremo sfuggire l’occasione di far vibrare nei giovani cuori dei nostri figli qualche risonanza per Cristo, per Colui che ci ha amati sino alla morte e per mezzo del quale abbiamo avuto non solo libertà, ma ancora più vita, vita eterna. A Lui solo degno sia la lode, la gloria e l’onore in eterno. AMEN!

LA PASQUA SUPPLEMENTARE «Or vi furono alcuni uomini, i quali essendo immondi per una persona morta, non poterono fare la Pasqua in quel giorno; quindi si presentarono davanti a Mosè e davanti ad Aronne, in quel giorno stesso e dissero loro: “noi siamo immondi per una persona morta; perché saremmo noi divietati di offrire l’offerta al Signore nella sua stagione, fra gli uomini di Israele?” E Mosè disse loro: “Statevene; ed io udrò ciò che il Signore comanderà intorno a voi”. E il Signore parlò a Mosè, dicendo: Parla ai figliuoli d’Israele dicendo: “Quando alcun di voi, o delle vostre generazioni, sarà immondo per una persona morta, ovvero sarà in lontano viaggio, non lasci però di fare la Pasqua al Signore. Facciala nel quattordicesimo giorno del secondo mese, fra i due vespri; mangila con azzimi e con lattughe selvatiche. Non lascine nulla di resto fino alla mattina; e non ne rompano osso alcuno; facciansi secondo tutti gli statuti della Pasqua”» (Numeri 9:6-12). Tutto ciò ci parla dell’amore di Dio verso l’uomo; cioè ci parla di una ulteriore possibilità di convertirsi (vedasi per esempio la storia di Ninive – Libro di Giona; l’esperienza di Pietro: ‘Mi ami tu…? etc.).

SIGNIFICATO TIPOLOGICO DELLA PASQUALa pasqua è passaggio. Con Cristo e in Lui siamo passati dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Egli è la nostra Pasqua (1° Corinzi 5:7). La Pasqua è tipo dell’opera espiatrice di Gesù Cristo (Giovanni 1:29; 1° Corinzi 5:6-7). Questa tipologia è ravvisabile soprattutto nell’agnello pasquale, mirabile figura di Cristo Gesù e del Suo sacrificio. Sono almeno tre le tipologie: Prima. L’agnello doveva essere senza difetto (Esodo 12:5) Cristo fu senza alcuna macchia (Luca 11:53,54; Giovanni 8:40). Seconda. L’agnello doveva essere ucciso (Esodo 12:6) Gesù morì per i peccatori (Giovanni 12: 24; Ebrei 9:22). Terza. Il sangue dell’agnello salvava dalla morte il primogenito della casa (Esodo 12:13) Per il sangue di Cristo abbiamo riscatto e perdono (Giovanni 3:36).

TIPOLOGIA DELL’AGNELLO

  1. Un agnello. L’agnello della Pasqua era figura di Cristo, «la nostra Pasqua» (1° Corinzi 5:7). Cristo è l’agnello di Dio; così Giovanni il Battista Lo indicò (Giovanni 1:29) e Isaia disse di Lui: “Come l’agnello menato allo scannatoio, come la pecora muta dinanzi a chi lo tosa, Egli non aperse bocca” (Isaia 53:7).
  2. Un maschio di un anno. Doveva essere un maschio preso nel periodo migliore della sua vita. Cristo offrì se stesso nel periodo migliore della sua maturità. Questo parla della forza e della capacità di Gesù.
  3. Senza difetto. Questo fa riferimento alla purezza di Gesù. L’Apostolo Pietro dice di Lui che era come un agnello senza difetto (1° Pietro 1:19); Pilato, che Lo consegna per la crocifissione, disse di non aver trovato alcuna colpa in Lui. Egli era assolutamente innocente.
  4. Messo da parte. L’agnello da offrire veniva messo da parte quattro giorni prima della Pasqua. Prima della stessa fondazione del mondo, Dio aveva predisposto il piano della redenzione e Gesù era stato designato per quest’opera. È interessante notare che Gesù entrò trionfalmente in Gerusalemme esattamente quattro giorni prima della Pasqua.
  5. Ucciso e arrostito. Ecco raffigurate in modo chiaro le terribili sofferenze di Gesù quando porta i nostri peccati, i nostri dolori e le nostre malattie sulla croce. Egli fu fatto maledizione per noi e soffrì la nostra pena.
  6. Ucciso dalla congregazione. L’intera congregazione di Israele prendeva parte a questa osservanza. Anche per Gesù avvenne la stessa cosa, poiché quando Pilato propose la scelta tra Gesù e Barabba, “essi gridarono tutti insieme: Fa morire costui e liberaci Barabba” (Luca 23:18).
  7. Nemmeno un osso rotto. Uno degli ordini inerenti al rito della Pasqua era di non spezzare nessun osso dell’agnello: “Non ne spezzate alcun osso” (Esodo 12:46). Ciò si compì esattamente in Cristo (Giovanni 19:33,36) e mostra la sua forza invitta e il fatto che la morte non aveva, e non ebbe, alcun potere su di Lui.

TIPOLOGIA DEL SANGUE

  1. Doveva essere asperso. Non bastava versare il sangue dell’agnello, doveva essere applicato sugli stipiti e sull’architrave. Per l’uomo non è sufficiente che Gesù abbia versato il Suo sangue sul Calvario; se per mezzo della fede, non lo applica al suo cuore, non riceverà purificazione.
  2. Applicato con l’issopo. (Esodo 12:22). Si trattava di un mazzetto di erbe, immerso nel catino dov’era il sangue che si doveva applicare alla porta. Come possiamo applicare il sangue di Cristo alla nostra vita? È per fede che applichiamo a noi stessi le promesse, “per le quali Egli ci ha largito le Sue preziose e grandissime promesse onde per loro mezzo voi foste fatte partecipi della natura divina dopo essere fuggiti dalla corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza” (2° Pietro 1:4).
  3. Messo sugli stipiti. Ciò rappresenta la pubblica dichiarazione che si accetta Cristo come Salvatore. Gli Israeliti non dovevano mettere il sangue dietro le loro case, ma dovevano metterlo davanti. È impossibile seguire Cristo celatamente (Matteo 5:14-16).
  4. Non sulla soglia. (Esodo12:7). Il sangue doveva essere asperso sull’architrave e sugli stipiti. Bisogna avere riverenza per il sangue; bisogna stare attenti a non calpestarlo (Ebrei 10:29), è sangue prezioso (1° Pietro 1:19).
  5. Un mezzo di preservazione. I figli di Israele si salvarono perché il Signore vide il sangue e passò oltre. Siano rese grazie a Dio, poiché il sangue di Cristo protegge il credente dalla Sua ira, dalla condanna della legge e dalla dannazione dell’inferno (Romani 8:1).

TIPOLOGIA DEL PASTO O NUTRIMENTO DELLA PASQUA – In una famiglia sulla quale incombeva la morte è stato introdotto l’agnello; tutto è cambiato, ora vi è la sicurezza e la pace. La notte in cui passa il distruttore ci si nutre della vittima arrostita al fuoco, con dei pani senza lievito e con delle erbe amare. Sette volte nell’istituzione della Pasqua (Esodo 12:11) è detto di « mangiare ». Credere al Signore Gesù non è una semplice adesione intellettuale a ciò che la Parola ci dice di Lui, non è una formula magica che occorre ripetere, come qualcuno pretende. Dopo aver detto: “chi crede ha la vita eterna”, il Signore Gesù aggiunge: “Se non mangiate la carne del Figliuol dell’uomo e non bevete il Suo sangue, non avete la vita in voi” (Giovanni 6:47;53). Certamente non si tratta di mangiare e bere fisicamente la Sua carne e il Suo sangue (“le parole che io vi ho dette sono spirito e vita” Giovanni 6:63). Ma per avere vita bisogna spiritualmente, nelle nostre anime, con tutto il nostro essere, appropriarsi di questo corpo dato e di questo sangue versato dal Signore Gesù, che solo toglie i peccati:

  1. L’agnello doveva essere mangiato. Il proposito di Dio non era che l’agnello fosse semplicemente immolato, bisognava nutrirsi d’esso. In relazione a Cristo, ciò significa che non si deve soltanto ammirarLo per il Suo sacrificio, o sapere soltanto che si è sacrificato, ma bisogna appropriarsi di Lui e riceverLo nella propria vita…
  2. L’agnello doveva essere mangiato tutto. Alcuni vogliono prendere soltanto una parte di Cristo, vogliono soltanto le Sue benedizioni, ma non vogliono accettare le responsabilità di una vita cristiana. Non basta essere disposti a prendere Cristo e la Sua corona, Egli ha anche una croce e un giogo per il credente.
  3. Mangiato subito. (Esodo 12:10). Gli Israeliti non dovevano lasciare nulla fino al mattino, ma dovevano mangiare, possibilmente, tutto l’agnello e bruciare ciò che restava. È una raffigurazione dell’appello evangelico: “Eccolo ora il giorno della salvezza” (2° Corinzi 6:2); non bisogna rimandare al domani la decisione di accettare Cristo nella propria vita.
  4. Le erbe amare. Questa specie di lattughe selvatiche accompagnavano il pasto, insieme al pane azzimo, “pane di afflizione” (Deutoronomio 16:3); alla gioia prodotta dalla salvezza, a cui si lega la semplicità e la purezza degli azzimi, si mescola il sentimento amaro, (le lattughe), di quanto sono costati i nostri peccati al Signore Gesù.

Enzo De Fano